Border/Quando gli Angeli preferiscono le pietre sonanti

 

 

(rubrica sul Festival Angeli Musicanti, Tippett/Balanescu),
in Ultrasuoni/Alias n. 27, il manifesto del 6 luglio 2002

 

Keith Tippett si china all’interno del pianoforte, aziona un sonaglio, un carillon, altri strumentini a percussione. Poi posiziona un’asta metallica sulla cordiera. I microfoni sono vicinissimi, captano ogni palpitio delle pietre sonanti, anche quelli involontari creati dal vento. Alex Balanescu gli è al fianco, e produce agili volatine con un suono ‘sporco’, quello ascoltato in tanti pezzi di Michael Nyman, per esempio in “Miserere Paraphrase”, in duo col minimalista inglese. Naturalmente in Tippett c’è ben altro virtuosismo sperimentalistico. Con lui Balanescu emerge solo in incisi tonali e minimali, qualche volta con temi zingareschi; entrambi, se tentano del lirismo, ne escono provati. Che pianismo nei pattern bitonali, avventurosi, lanciati su ampie porzioni della tastiera! Quando toccano le zone in cui ha predisposto una ‘preparazione’ del piano, accade che l’antica natura di strumento a percussione viene alla luce in modo inaspettatamente felice: Tippett sceglie materiali insoliti, ne vien fuori un suono che ha del tibetano. Uno straniamento, bitonalità e percussioni ‘etniche’, che convince e lancia lontano.

Ecco i Concerti d’ Improvvisazione di “Angeli Musicanti”, comprensivi anche di una performance di Gianni Gebbia e Vincenzo Vasi, tutta giocata tra respirazione circolare e pitch del thérémin. “Angeli Musicanti” non è solo una rassegna di musica di frontiera; è un progetto culturale di ampio respiro: musiche ed esperienze contemporanee che cercano spazi inusuali, e francamente sono finalmente capaci di riposizionarli nella geografia culturale della città, talvolta riallineandoli ad una significativa ed ineludibile traiettoria già scritta nelle pieghe dei luoghi, spesso deviata impropriamente da chi quei monumenti ha prima abbandonato, e poi impropriamente gestito. Il luogo-simbolo di “Angeli Musicanti” è il Real Albergo dei Poveri di Napoli, conosciuto anche come Palazzo Fuga. E’ lo stesso luogo in cui Tahar Ben Jelloun ha ambientato un omonimo, visionario romanzo edito da Einaudi. “L’uomo che cammina nel cielo è una rondine di sogno, è un bambino dalle ali spiegate che ricorda la rondine sognata dall’uomo”: è il meccanismo del doppio sogno, caro anche ad Arthur Schnitzler. Nella fattispecie, c’è il sogno del un ricovero-ghetto destinato da Carlo III di Borbone ad ospitare i poveri del tempo.  C’è poi il sogno di un “grande ed inquietante” monumento abbandonato per anni, e diventato magico prima del lunghissimo restauro che oggi lo rende un cantiere perpetuo. Paolo Uva, ed altri attivisti di Musicamotus, ne usano il cortile rendendolo progetto attraverso istallazioni, la partecipazione dell’Accademia di Belle Arti, la presenza di forum tematici (cancellazione del debito, musica oltre i linguaggi precostituiti, condanna dei fronti di guerra), e di musicisti come Moni Ovadia, Wim Mertens, Tuxedomoon, per “cantare contro” e costruire un Osservatorio/Ascultatorio sulle arti del contemporaneo.

Autore: Girolamo De Simone

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