Diario della dissonanza*

 

Girolamo De Simone

 

 

Giugno 2007. Da un mese è scomparso Giuseppe Chiari. Se ne è andato dopo Pietro Grossi. Soltanto pochi mesi fa era davanti a me, e tracciava su un pezzo di carta una delle sue ‘costellazioni’: Fluxus, Marcatré, Metzger ed altri nomi inanellati nei suoi ricordi. Ora il padre della musica d’azione italiana non c’è più.

 

Luglio 2007. Mi chiamano dal Comitato per le celebrazioni di Domenico Scarlatti. Ho da poco suonato in un chiostro un game ispirato a lui. Ma non voglio più suonare così. Riprendo un vecchio libro, curato da Alessandro Longo per le edizioni Ricordi, quelle di un tempo ormai andato. Le pagine sono piene di segni a matita tracciati da Eugenio Fels. Mi raccomandava di suonare i veri accordi, non quelli epurati dall’Accademia. Fels è un musicista che insegna in Conservatorio, ma le sue prassi sono sempre state auree, e non decadenti come quelle che ormai tipizzano gli studi musicali italiani. Del resto anche Beppe Chiari lo diceva (lo disse fino all’ultimo): la musica è endemicamente in ritardo. Le sue gesta erano “declinate” alla parola Arte, e non alla parola Musica. La nostra storia della musica gli era sempre apparsa brutta, totalmente da riscrivere. E le scuole, con i manuali e le storie ispirate a nomi, e non a Movimenti, non gli parevano ben fatte (diceva: perchè non scrivere una storia del valzer? perché non raccontare che i tedeschi hanno trasformato la musica da vocale a strumentale per scipparla agli italiani?).

 

3 agosto. Guardo le note aggiunte a matita da Eugenio Fels. Riempiono gli accordi, altrimenti semplici, riportati nel libro di Scarlatti. Alcune sequenze, che parrebbero banali, si colorano di una luce nuova, inedita; di un senso (ovvero di una direzione liberatoria) che va da tutt’altra parte. Parla di un altrove che sarebbe venuto solo nel Novecento. Suonando al pianoforte tutte le dissonanze, finalmente liberate, si comprende quella musica osteggiata, considerata difficile dagli altri clavicembalisti del Settecento. Scarlatti non ebbe il successo del padre, che in parte lo oscurò, perché intendeva modellarlo a sua immagine. Ciò spinse Domenico alla dissimiglianza, a ricerche armoniche ardite, tradotte in una eccellenza di scrittura strumentale che fu costretto ad esportare in Spagna. Le Sonate rientrarono in Italia dalla Spagna solo grazie al celebre Farinelli. Una analogia crescente tra la vicenda artistica e personale di “Mimmo” Scarlatti (come amava firmarsi) e quella delle altre memorie inconciliate italiane e segnatamente partenopee si fa sempre più evidente. Un filo rosso lega la storia di Luciano Cilio, Pietro Grossi, Giuseppe Chiari e, perché no? anche la mia e quella di Eugenio Fels.

 

7 agosto. Sfoglio il libro “Gesti sul Piano” di Chiari. Foto in bianco e nero inquadrate dall’alto, sullo sfondo la tastiera del pianoforte (en blanche et noir). Voglio permutare, triturare, declinare a mia volta il gesto provocatorio, alla luce di questo nuovo grande padre delle memorie inconciliate italiane. Voglio legare questo gesto all’elettronica del pioniere Grossi, alla poeticità del mediterraneo Cilio, alle ‘azioni’ fluxus di Chiari. Voglio che ci sia il pianoforte, ma non posso usare i materiali già in commercio: grazie al tocco, che è il bel canto dei pianisti, è possibile rendere più gradevoli le dissonanze originarie dei manoscritti del Settecento. La Dissonanza invece deve essere cruda, e davvero ‘declinata’, mostrando che essa è inclusiva, mentre esclusiva, escludente, resta la consonanza. Consuetudini differenti a cavallo delle epoche hanno prescritto cosa fosse convenevole e cosa no. Ciò dimostra che l’Armonia, propriamente detta, non esiste, e che a pieno titolo dobbiamo usare in ogni momento tecnologie e consapevolezze avanzate, compresa quella della sintesi granulare, della parcellizzazione di suoni e rumori, per poterci davvero affrancare dai manuali.

 

7 settembre. Ho ormai completato la registrazione al pianoforte dei frammenti più interessanti. Ora si pone il problema della struttura. Sto intanto procedendo a creare una tavolozza di suoni e rumori, diverse centinaia di gradazioni, variazioni, sfumature cromatiche di senso. Cerco, nonostante tutto, una coesistenza e contemporaneità di voci differenziate. Non vorrei cristallizzare gli eventi, né darne versioni definitive. Vorrei si trattasse di una installazione e non di una composizione. Ovvero che il caso, quello però predeterminato di Cage, vi svolgesse un ruolo, ma che tuttavia la somma di tanti tasselli, la loro successione, fosse pensata in modo da ‘funzionare’: produrre talvolta silenzio nello spazio di destinazione (che immagino come un tempio, ove si rappresenta la Memoria e la Dissonanza), talvolta rumore, talvolta complesse sovrapposizioni accordali.

 

10 settembre. La sintesi granulare aiuta: è un procedimento che lascia intravedere, in filigrana, la provenienza dei campioni sonori, che nel mio caso è sempre il pianoforte. E tuttavia trasforma quei suoni, originariamente di Scarlatti, in qualcosa d’altro: come se esplodessero. Se dovessi cercare un paragone in letteratura, penserei a Michaux. Alle sue descrizioni di esperienze psichedeliche.

 

12 settembre. Ho trovato un altro nesso con le memorie degli anni Settanta. La psichedelica, che dovrà essere evidente nelle immagini che accompagneranno i suoni. La moltiplicazione di suoni e visioni deve essere post-pop, lanciare oltre il sè, ma paradossalmente partire da una profonda introspezione. Questo procedimento fu descritto magnificamente da Otto Weininger, che comprese cosa volesse dire Kant nelle vertiginose congetture che dalle prassi giungono alle regole più astratte della ragione.

 

Ottobre. Ho prodotto infine quattro fonti sonore stereo, ed una solo monofonica. Ciascuna è indipendente dalle altre. Ciascuna prevede silenzi, anche di quindici, trenta secondi. Ciascuna ha durata differente dalle altre. Esse poggiano su un ‘bordone’, ovvero su una sorta di suono ancestrale, che rappresenta il continuum. Una sorta di gigantesco OM.

Faccio una simulazione: tutti gli schermi video producono suoni ed immagini. Un proiettore lascia andare il bordone, abbinato al video più astratto. Mi perdo per qualche tempo (forse due ore) nei loop, nelle ripetizioni dei dischi, che tuttavia generano musica sempre differente nel tempo. Capisco ora che forse si è trattato di una ricerca d’acqua. Che ho cercato sottigliezza e soluzione. Una sorta di ‘non movimento’ sempre cangiante in grado di accogliere, proteggere, riscaldare. Per diluirmi e perdermi.

 

*diario della Installazione multimediale scarl/ACT di Girolamo De Simone, tenuta al Palazzo delle Arti di Napoli dal 13 al 22 dicembre 2007 in occasione delle celebrazioni scarlattiane. Pubblicata su "il manifesto" (Speciale Alias) del 26 gennaio 2008