Franz Liszt, Gli Zigani, pagg.140, euro 15,00, Edizioni di Storia e Letteratura

Dal ponderoso Des Bohémiens et de leur musique en Hongrie, datato Parigi 1859, Miriam Donadoni Omodeo ha tratto una silloge significativa, intitolata Gli Zigani, pubblicata dalle Edizioni di Storia e Letteratura. La Donadoni, scomparsa nel 2003, era molto nota nel mondo musicale per i suoi studi con Casella, Cortot, e soprattuto con Luisa Cognetti, a sua volta allieva di Liszt. Si tratta del gotha della musica classica. Inoltre, la Omodeo Donadoni si era occupata molto del critico-compositore Giannotto Bastianelli. Ora, quindi, il libro sugli zingari giunge postumo, quasi un dono ulteriore da parte di una donna capace di straordinarie, panottiche, visioni.

Dopo aver composto le celebri Rapsodie Ungheresi, che svettano talvolta dalle monofoniche suonerie dei nostri cellulari, Liszt cominciò a scrivere una lettera di presentazione, o di ‘giustificazione’ che potesse facilitarne l’ingresso nel mondo della musica ‘seria’. La lettera, però, finisce con l’allungarsi sempre più tra le mani del musicista, diventando infine un libro che passa sotto la scure del terribile Hanslick, il quale in tre articoli sul Die Presse ne attacca l’impianto, la scarna documentazione: una storia dal carattere estetico e filosofico più che scientifico. Inaspettatamente, invece, questo approccio rende oggi più affascinanti il racconto e le musiche, le “visioni di fuoco” attraverso le quali “un popolo poté raccontare le sue impressioni più intime”.  La Donadoni produce una cernita dei capitoli lisztiani, li riorganizza senza preoccuparsi della filologia: ne viene fuori un’opera che favorisce una percezione emozionale, quasi astratta, dei popoli migranti. Potrebbe dirsi, quasi, una sorta di astrazione dell’erranza. Inevitabilmente il tempo riconduce i rivoli rizomatici (le radici nascoste alla vista) alla prospettiva della linea, nel senso della inattendibilità di scoperte recenti, rade e decontestualizzate, incapaci di produrre inversioni analitiche. In filigrana si coglie quella stessa predilezione per l’emozione dell’istante, tipica degli Zigani: “per loro non esistono la concezione di una lenta progressione dei fatti, i cambiamenti quasi impercettibili ma essenziali, prodotti dall’incrociarsi e dal sovrapporsi di elementi diversi”. Liszt ci parla delle origini, del rapporto con indiani e israeliti (quale ammirazione per la loro musica, alla luce delle candele, all’interno della sinagoga), delle migrazioni presso gli Ungheresi: del merito umano di un’ accoglienza che diviene poi ospitalità estetica: quanti temi, quanta energia zigana fluisce poi nella musica ungherese, da cui anche Liszt trae, trascrive, reinventa, tradisce?

Davvero opportuna, quindi, la frase di Santino Spinelli, ripresa Adolfo Omodeo: “parlare della musica zingara significa parlare essenzialmente della cultura Rom in termini tangibili... la musica zingara riflette lo stato d’animo profondo di un popolo che ha fatto del dolore e della precarietà gli emblemi del proprio virtuosismo artistico”.

(Girolamo De Simone)