Il fascino globale di Stockhausen e gli altri

 

Non stupisce che uno spirito libero dome Miles Davis si sia interessato -  come egli stesso indica nella sua autobiografia – a Karlheinz Stockhausen, del quale cominciò ad ascoltare la musica e a studiare le (bizzarre) teorie. Non si esclude che l’avvicinamento al tedesco sia avvenuto per la teorizzazione di una musica globale, e per l’utilizzo di registrazioni provenienti dall’Africa (Telemusik).

Alcuni aspetti improvvisativi (l’importanza data alla pre-session di registrazione, alla concezione di assemblaggio di frammenti), ma soprattutto l’uso di certe relazioni armoniche, tengono conto dell’arte del contrappunto di Bach quanto delle tecniche di Ornette Coleman, organizzandole secondo la concezione spaziale tipica di Stockhausen, che del resto si era sempre occupato dei rapporti tra alea (dell’improvvisazione) e struttura. Nel 1968 Stockhausen componeva Stimmung, Kurzwellen, Spiral, opere in cui usava il tam-tam esattamente come microfoni, filtri, regolatori, ricevitori ad onde corte. Nel 1970 scriveva Mantra, ed i suoi testi (Beyond Global Villane Polyphony, e soprattutto Texte zur Elektronischen und Instrumentalen Musik) erano riconosciuti in tutto il mondo come il vangelo della musica elettrica (e si intende proprio ‘elettrica’). L’opera di Stockhausen e la sua visione “globale” fu combattuta da Cornelius Cardew, che la definì schiava dell’imperialismo in un celebre pamphlet che fu tradotto anche in italiano dalle Edizioni di Cultura Popolare nel 1976, una rarità con aggiunte sull’originale in lingua.

Miles Davis subì poi l’influenza del violoncellista Paul Buckmaster, musicista ambient, arrangiatore di Elton John, si affiancò alla Third Ear Band per la colonna sonora di Machbeth (Harvest 1976) e a Stomu Yamash’ta nel poema sinfonico Sea and Sky.

Girolamo De Simone

Il manifesto, 22 settembre 2001