Carillon, automi e sinfonie di rumori (versione integrale)

La musica ‘colta’ ha usato macchine dai timbri inusuali per riprodurre facili melodie, strumenti tradizionali che simulano rumori, oggetti o strumenti automatici ed elettronici dalle sonorità inaudite, alcuni dei quali confluiti nella cosiddetta musica concreta.

Il carillon è uno dei primi esempi di strumento meccanico. I primi carillons automatici risalgono al tredicesimo secolo, e funzionano grazie ad un rullo con cunei fissi o mobili. Il loro nome viene dal basso latino ‘quatrinio’ perché pare che i primi carillon azionassero quattro campane.

Un altro strumento automatico è l’organetto di Barberia, il cui nome deriva da quello del suo primo costruttore, Giovanni Barberi di Modena. Nel Settecento, epoca di numerosi e raffinatissimi giochi musicali, molti oggetti d’uso comune rientravano nella categoria di ‘strumento meccanico’ o in quella forse più seduttiva di ‘automa meccanico’: tabacchiere, specchi, arcolai, binocoli, giochi da tavolo, anelli e tantissimi orologi. Musica per orologio fu scritta da Philip Emanuel Bach, Haydn, Mozart, Beethoven. Più tardi, quando il meccanismo del rullo fu applicato al pianoforte automatico, Paderewski, Debussy, Ravel, Granados, e molti altri vi avrebbero inciso le proprie musiche, oggi restaurate e consegnate alla tecnica digitale.

Un discorso affine è quello dei musicisti che hanno utilizzato suoni non convenzionali, o rumori, nelle proprie partiture, dai fuochi d’artificio di Haendel in Fireworks Music ai giocattoli dellaSinfonia di Leopold Mozart, dalle bombarde di Beethoven nella Battaglia di Wellington al colpo di cannone della Ouverture Anno 1812 di Ciaikovski. Nel Novecento Luigi Russolo impiegò in orchestra i suoi ‘intonarumori’: ululatori, rombatori, crepitatori, stropicciatori, scoppiatori, ronzatori, gorgogliatori, sibilatori. Erano gli anni del futurismo: tra il 1911 e il 1913 escono Il manifesto dei musicisti futuristi di Francesco Balilla Pratella, Il manifesto tecnico della musica futurista  e, soprattutto, L’arte dei rumori di Russolo, il cui sottotitolo significativamente recita: “l’arte dei rumori, nuova voluttà acustica”. Nel 1914 l’eclettico Alberto Savinio, geniale fratello del pittore De Chirico, apolide di formazione (studiò in Grecia, visse a Parigi), esordisce come musicista e teorizza ilsincerismo’. Questa microcorrente musicale enfatizza il dramma musicale, attraverso esplosioni sonore ottenute con canti, voci isolate, corali, voci, singhiozzi, elementi extramusicali misti ad espedienti tecnici che riproducono boati sulla tastiera, uso e abuso di glissandi. Dopo una celebre esecuzione di Savinio, Apollinaire rilevò l’enorme carica vitalistica di questa musica, ed i presenti dovettero asciugare il sangue disperso sulla tastiera dall’esuberante pianista-compositore. Nel 1916 Erik Satie utilizza rumori nelle sue partiture. E’ il periodo della collaborazione con Cocteau, e nel primo progetto del celebre Parade sono segnati parecchi rumori: dinamo, apparecchio Morse, sirena, treno, aeroplano. Altri ne resteranno nella partitura finale, come ad esempio il ticchettio delle macchine da scrivere ed i colpi di rivoltella. La partitura fece enorme clamore, anche per l’utilizzo di una jazz-band e per le numerose anticipazioni estetiche e stilistiche di Satie. Tra gli anni Venti e Quaranta, vengono composte numerose musiche per rumori e strumenti tradizionali. Si pensi a Michel Brusselmans che utilizzò un disco con Rumori di aeroplano che accompagnava l’omonima partitura. O al balletto di robot di Eugen Zàdor L’uomo meccanico (1934). Ottorino Respighi usò nei Pini di Roma un disco in cui si poteva ascoltare l’incisione del canto degli usignoli. Moltissima musica per il cinema muto accompagna suoni a rumori, seguendo la scena descritta dalle immagini: in queste musiche, generalmente considerate accessorie ed esteticamente di seconda classe, i presupposti estetici sono viceversa semplicemente differenti. Esse provengono dai rumori di scena usati nelle raffinate rappresentazioni settecentesche, e ci conducono direttamente alla musica di consumo utilizzata dalla pubblicità o nei videoclip, produzioni da affrontare senza discriminanti di valore.

Le vicende della musica acusmatica e concreta di Pierre Schaeffer, l’uso di suoni generati da apparecchiature elettroacustiche, le poetiche composizioni di Cage per oggetti vari e microfono (si pensi soltanto alla musica composta per gli Events  di Merce Cunningham), la presenza di suoni di tutti i tipi nella musica contemporanea (La via negativa di Lorenzo Brusci, con centinaia di campioni rimescolati in modo creativo), sono cose già note.  Non tutti conoscono, invece, il lavoro di un giovane ricercatore italiano che si è dedicato scientificamente al rapporto tra i rumori e le emozioni umane, il che richiama implicitamente il vitalismo di Savinio. Piero Mottola, difatti, da alcuni anni conduce ricerche sul campo facendo ascoltare a campioni di ascoltatori sequenze ordinate o casuali di rumori, registrando che esiste una corrispondenza ‘indotta’, quasi ripetibile, tra rumore ed emozione corrispondente. La ricerca ha preso una svolta creativa con la preparazione di vere e proprie partiture visive, nastri, stringhe/sequenza di rumori, emozioni degli ascoltatori ricondotte ad episodi reali o immaginari (anche con racconti). Tra gli stimoli sonori: una frenata d’auto, colpi di martello su un incudine e tacchi sulle scale, respiro femminile, pioggia sull’asfalto, crepitio del fuoco. Le sensazioni più evocate, rispettivamente: paura, agitazione, eccitazione, tristezza, calma.

Girolamo De Simone

Il manifesto, 13 maggio 2000