Border (rubrica)

Le voci rivoluzionarie del Vesuvio (versione integrale)

C’è una frase, nei Passages di Benjamin, dedicata ad un insolito raffronto. “Parigi rappresenta, - vi si legge - nell’ordinamento sociale, il corrispettivo di ciò che il Vesuvio rappresenta nella sfera geografica. Un massiccio minaccioso, pericoloso, un focolaio di rivoluzione sempre attivo. Ma come le pendici del Vesuvio, grazie alle stratificazioni di lava che lo ricoprono, si trasformano in frutteti paradisiaci, così sulla lava delle rivoluzioni fioriscono, come in nessun altro luogo, l’arte, la vita mondana, e la moda”. La moda di Parigi; i frutteti della terra amata da Goethe. Sempre Benjamin rappresentò il contraltare teorico più avanzato, nella considerazione del ruolo giocato dai mezzi di riproduzione, fonografo in testa. L’ascolto e la possibilità di comunicazione di massa offerte dall’invenzione del fonografo avrebbero cambiato le regole di produzione dell’opera d’arte, e trasformato le stesse categorie estetiche che regolano la nostra sensibilità. La riproducibilità dell’opera d’arte è stata di per sé, ed ha sortito gli effetti, di una rivoluzione.

Ora, è un merito di una straordinaria raccolta edita dalla Emi col titolo “Le antiche Voci della Canzone Napoletana”, curata dal musicologo Venanzio D’Agostino, assieme a Nuccio Tortora, se possiamo confrontarci con gli effetti di quella rivoluzione, valutandone l’impatto con le realtà di fruizione di massa tipiche della antica canzone napoletana.

Napoli non è Parigi, ma a Napoli la ditta di Raffaele Esposito, la Società Fonografica Napoletana, fondata nel 1901, e nel 1905 rinominata Phonotype, comincia a produrre dischi con Nicola Maldacea, Pietro Mazzone, Gennaro Pasquariello. Non solo frutteti, dunque, per tornare a Benjamin, ma anche rivoluzioni. Venanzio D’Agostino segnala nelle sue note di copertina che “la forma breve della Canzone sembra essere la più adatta al nuovo mezzo; ... nel campo della musica colta e specificamente nel genere lirico-operistico era necessario suddividere una singola esecuzione per più rulli o dischi”. Ciò sottopone l’industria fonografica ad una scelta radicale: privilegiare il meglio della produzione, scegliendo “i generi già dotati di caratteristiche riconoscibili da parte di un pubblico che frequentava un certo ‘mercato’ dello spettacolo e del divertimento, nel quale il posteggiatore o la voce femminile si trovavano quali segni principali: la mescita, allora, e il café-chantant”.

La raccolta, imperdibile, è ora giunta al quarto disco sui dieci previsti, ed oltre ai meriti documentaristici e sociologici, reclama un indubbio valore estetico, vale a dire di godibilità di ascolto. Ai prodigi delle puliture digitali, alle difficoltà di eliminazione del fruscio specie nelle registrazioni di voci femminili, si somma la pura bellezza di queste voci, in interpretazioni che hanno fatto epoca, raccogliendo la gioia dei nostri padri. Così in “Reginella”, con Gilda Mignonette, in “Maria Mari”, con Lina Cavalieri o nel delicato “O vino nuovo” di Lina Resal.

Girolamo De Simone

Il manifesto, 17 giugno 2000