Le musiche di Galleria Toledo
Girolamo De Simone

 

 

Antefatto

Il Teatro Galleria Toledo ha assunto da tempo un ruolo insostituibile nella realtà musicale partenopea. Inizialmente polo della musica d’avanguardia e della sola produzione cosiddetta ‘sperimentale’, il teatro aveva ospitato nel 1993 e 1994 una rassegna incapace di offrire una valida sponda all’emergenza di talenti locali. Nei due anni successivi si erano poi alternati singoli ‘eventi’ specialistici, situabili nell’area del ‘colto’, con i concerti di alcuni pianisti di fama internazionale, tra cui Riccardo Risaliti, o in quella del rock sperimentale. Solo nel 1997, grazie alla sensibilità di Laura Angiulli  ed al supporto logistico di Rosario Squillace, il Teatro decide di mutare la ‘denominazione d’origine’ delle attività musicali, e “aprire” alle musiche di frontiera affidandomi la programmazione della stagione di musica contemporanea.

 

Molti mondi sonori

Così nasce “Musica Millemondi”, con riferimento ai mille mondi, o meglio ai mille modi, della musica contemporanea. Una rassegna che, dato per appreso e già assimilato il cammino dello sperimentalismo, ha fin dall'inizio valorizzato la contiguità tra generi artistici differenti e tra musiche ‘al plurale’, all’insegna della mescolanza, della contaminazione, del melting pot. Nel 1997, per la prima volta in una programmazione così lunga e articolata, venivano affiancati nomi di rilievo nazionale ad interpreti e compositori partenopei. Non è facile rintracciare nella storia culturale e musicale napoletana qualcosa di analogo. “Musica millemondi” riesce per la prima volta a dare visibilità ad eventi ‘rimossi’ dalla memoria storica cittadina, alle ‘memorie inconciliate’, senza per questo togliere spazio alla più avanzata musica di frontiera; premevano alcune urgenze, vere e proprie ‘emergenze’. Esse sono ormai note, appartengono alla storia musicale recente: i concerti dedicati a Luciano Cilio, Eugenio Fels, Francesco D’Errico ed a molti altri eccellenti musicisti colmano alcune lacune delle programmazioni ‘ufficiali’. D’altra parte, a Galleria Toledo intevengono artisti di prima grandezza della musica di frontiera nazionale: Ludovico Einaudi (prima del suo successo con Moretti), Cecilia Chailly, Arturo Stalteri, e musicisti consolidati dell’avanguardia, perché la storia va rappresentata senza epurazioni di scuola: Giuseppe Chiari, Giancarlo Cardini, Marco Fumo, Bruno Canino, Luca Mosca, Nicola Cisternino, Giancarlo Schiaffini, Enrico Correggia ed il suo ensemble Antidogma, Enrico Cocco, Riccardo Piacentini, Riccardo Vaglini, l’ensemble SpazioMusica e molti altri musicisti che propongono prime assolute o prime esecuzioni a Napoli. Una importante costola della rassegna si dedica alla musica elettronica, presentando rimasterizzazioni digitali dei pionieri dell’elettronica italiana, prima che il loro valore venisse finalmente ricordato da libri, mostre e riviste: Pietro Grossi, Enore Zaffiri, Teresa Rampazzi. Oggi, dopo alcuni anni, possiamo dire di aver riportato, nei fatti e con forza, la musica contemporanea alla ribalta dei palcoscenici napoletani: attestando la nostra esistenza nel panorama dell’offerta concertistica nazionale; trasformando l’idea di Border music in molteplici spettacoli realizzati in altri festival italiani; raccogliendo diverse centinaia di  interventi giornalistici, musicologici e critici su quotidiani nazionali e riviste specializzate, raccordando quello che era stato il lavoro di Luciano Cilio negli anni Settanta con quanto sta accadendo oggi.

 

Orgoglio

Quando nel 1984 iniziavo ad occuparmi della musica di frontiera, a criticare le posizioni dell’avanguardia uffciale in nome del pluralismo e della contaminazione tra i generi musicali, in Italia eravamo davvero pochi a farlo. Sarebbe bastata una sola mano per contarci. Oggi fortunatamente tutti si sono convertiti al nuovo vangelo, anche i musicisti pop, e questo era in fondo prevedibile. Infatti non facevamo che ribaltare a favore di Stravinskij le preferenze di Adorno. Quale senso ha questa rivendicazione? non quello del mero personalismo, talvolta rinfacciatomi, tant’è che ho sempre auspicato l’abbandono del ‘pregiudizio d’autore’, persino nei libri per bambini, ma perché in una città ‘fuori frontiera’ come Napoli l’autoreferenzialità è l’unica risposta possibile alla scomparsa ed all’annegamento della memoria, che cancella sistematicamente tutto quello che un musicista o un operatore ha fatto ieri o l’altroieri. Questo, dopo suicidi di amici, emigrazioni di eccellenti compagni, epurazioni subite da validissimi artisti che hanno deciso di continuare a vivere qui, non è più possibile né tollerabile.

Per questo, l’orgoglio di aver riportato a Napoli la musica contemporanea, questa musica contemporanea, con sistematicità, organicità e fatica, e di aver offerto a molti compositori campani la possibilità di far ascoltare la propria opera sul palcoscenico di un teatro che istituzionalmente, anche prima del mio intervento di programmazione, si era attestato come importante centro di produzione per il teatro e la musica contemporanea, non mi impedisce, d’altro canto, di porre ai lettori alcune domande, anche provocatorie: questi stessi musicisti, a fronte della nostra apertura di programmazione del 1997, hanno risposto adeguatamente, con la loro presenza, il loro supporto, il loro entusiasmo, alle nostre iniziative? Gli specialisti ‘locali’ del settore, eccettuati quanti ne hanno scritto per le testate nazionali, si sono occupati della rassegna con lo spessore critico che sarebbe stato lecito attendersi, oppure sono incorsi in errori, assenze, superficialità? Le Istituzioni, laddove non sollecitate esplicitamente e direttamente, hanno fatto quanto potevano per sostenerci nell’enorme sforzo che compivamo? I cosiddetti ‘compagni di percorso’ hanno dato nella stessa misura in cui hanno legittimamente chiesto? insomma, un percorso comunitario si è realizzato davvero? Dalla risposta a queste domande dipenderà il futuro delle nostre scelte di programmazione.