Napoli e le tonalità del mondo

 

Girolamo De Simone

 

Questa mattina vorrei parlare di tre mali italiani. Questi mali sono presenti anche in questa città, amplificati dalla naturale propensione partenopea all’enfatizzazione ‘alluccata’.

I mali sono: l’esterofilia, l’incapacità di fare sistema, la dimenticanza.

 

Cominciamo dal primo: l’esterofilia.

Faccio qualche esempio: il libro di Stuart Isacoff sul Temperamento (uscito a New York nel 2001, pubblicato in Italia nel 2005 dalla EDT, con grandi recensioni e clamore): le stesse cose erano state scritte da Giuseppe Chiari nel 1989, sedici anni prima, in modo più creativo, profondo e documentato (nella sua Biblioteca Musicale).

Egli dice, naturalmente, delle conseguenze del problema del temperamento, con le ricadute sulle nozioni di consonanza e dissonanza. Chiari arriva alla conclusione che la nostra musica “è una delle tante”, e che nella storia della musica e dell’arte (vista la tipicità del noto esponente Fluxus) occorre il plurale: “il mondo è un insieme diversificato di tonalità”.

Nessuno ha scritto di Chiari, tutti di Isacoff. Chiari forse era troppo avanti...

 

Altro esempio, più vicino nel tempo:

19 gennaio 2009, pochi giorni fa. Un quotidiano, prima pagina di Cultura (tutta la pagina!). Anticipazione dal ‘grande’ saggio del ‘grande’ sociologo Zygmunt Bauman. Che a sua volta cita il dandy culturale Stephen Fry (un attore inglese), come fosse vangelo, per dimostrare, titolo a centro pagina, che “è tramontata l’epoca della differenza tra cultura ‘alta’ e ‘bassa’”. E come esempio di cultura musicale ‘alta’ cita... Hindemith! Ancora i pezzi per pianoforte di Hindemith

Ma mi pareva che questa cosa fosse tacita, a partire forse dalla dissezione di Adorno attuata da Richard Middleton nel suo assimilatissimo “Studiare la popular music”, pubblicato in Inghilterra nel 1990, e in Italia solo nel novembre 1994. Già dal 1984 chi vi parla sosteneva la necessità di un cambio prospettico nella definizione del campo dell’estetica, riconsiderando le categorie di ‘alto’ e ‘basso’, ed indirizzandole verso una concezione ‘funzionale’ dell’opera musicale.

 

I mali dell’esterofilia: prendere qualcosa o qualcuno che ci arriva da lontano, e che per questa ragione riteniamo possa essere automaticamente ‘accreditato’, e rivolgerlo alla fruizione di massa come se si trattasse di una novità.

Ora è certo che le avanguardie debbano esplorare territori poco noti, scoprire forme d’arte. La novità odierna è nella seguente perversa stringa: le avanguardie scoprono, l’accademia copia, i media trasferiscono quanto ritengono sia ormai ‘accreditato’ dal sociologo o dal musicista-musicologo estero. Altrove non è così. Non esiste una gerontocrazia culturale incapace di dare voce, spazio e opportunità alle avanguardie radicate sul territorio.

 

Passiamo al secondo male: l’incapacità di fare sistema.

Sempre, nella storia, le novità dell’arte sono passate attraverso l’attività di gruppi o movimenti. Almeno da quando è tramontata l’unicità romantica della nozione (e della prassi) di ‘genio’. Invece in Italia, se si sfogliano gli annuari della musica, dell’arte, dell’editoria, può notarsi la gemmazione delle ‘singolarità’, le quali non sono le singolarità selvagge auspicate da Michel Foucault, ma le emersioni replicanti che ci vengono dai modelli televisivi, ahimé propiziati da diversi lustri per le anomalie politiche italiane. Ognuno si fa centro del mondo.

Qui siamo incapaci di federarci. Nel senso che ci federiamo troppo. Ognuno preoccupato dalla conquista di un piccolo spazio, di un piccolo teatro, di una piccola quota di finanziamento o di un po’ di visibilità nell’ennesimo comitato o celebrazione. Certo, poi questo porta spesso alla gestione di soldi, quei pochi rimasti. E si comprende bene come infine l’assegnazione di questi fondi non segua assolutamente criteri di qualità (che potrebbero essere, ad esempio, la memoria di quanto già fatto nei luoghi, la permanenza sul campo, magari nelle periferie urbane o nell’urbano periferico; oppure, dall’altro lato, la capacità di ‘innovare’ radicalmente proposizioni tradizionali).

Forse oggi questa incapacità di federarci, in Italia e a Napoli, può trovare segnali di inversione. Sarei scettico se non fosse per un motivo: i soldi, anche quei pochi, non ci sono più. E quindi, realisticamente, non è rimasto che “fare sistema”, e poi provare a riformare certi criteri di assegnazione, e soprattutto le incoerenze di un sistema (mi riferisco soprattutto a quello regionale) burocratizzato all’eccesso.

 

Questo ragionamento ci porta al terzo male: la dimenticanza.

Spesso ho scritto o mi sono riferito a quelle che ho definito “memorie inconciliate”. Sono quelle (voglio citarle sempre, ad ogni intervento) dei vari Antonio Neiwiller, Annibale Ruccello, Enzo Striano, Luciano Cilio, Francesca Spada, Valeria Saporito.

Anche oggi esistono persone che operano nel silenzio, che producono musiche nuove, e che sono costrette a farlo all’estero, nel totale disinteresse degli Enti (i media, invece, sono talvolta più permeabili a queste novità, naturalmente sempre in taglio basso). È un lamento che abbiamo ascoltato, uguale, trent’anni fa, da Luciano Cilio e che abbiamo ripubblicato, a mo’ di “memento”, nel numero appena uscito di Konsequenz, la nostra rivista ‘divergente’.

Naturalmente il concetto di ‘estero’ è declinabile: una forzata emigrazione interna condanna tutti noi ad ‘esportare’ (se non vogliamo che alla fine la nostra immaginazione sfiorisca e muoia) la nostra migliore produzione.

 

Concludo. In quest’ottica (e nonostante i richiamati limiti sistemici), un intervento che faccia seguito agli sforzi editoriali (come quello del “Libro Bianco” Cemat-Ritmo), che alimenti, sostenga e sia in grado di potenziare la visibilità di quanto accade qui, segnatamente in realtà metropolitane come quella partenopea, sembra opportuno e quanto mai auspicabile per concretizzare le nuove idee: creare un archivio sonoro, volgere lo sguardo alle musiche già prodotte e concentrarsi su quelle che ancora non hanno raggiunto il grosso pubblico; fondare un Network specializzato; proporre una collana discografica (DVD audio, e CD plus con tracce multimediali); attuare una vera e propria “Anagrafe della frontiera”. Nel programma culturale ed editoriale di Konsequenz-Liszt, queste idee rappresentano le linee guida per voltare pagina ed esperire un ultimo audace tentativo: provare a riformulare l’assetto della proposta musicale a Napoli.

 

 

 

(Girolamo De Simone, testo dell’intervento al Convegno

 “Napoli, una difficile contemporaneità?”,

Conservatorio di Napoli, 24 gennaio 2009)