Musiche Replicanti

 

di  Girolamo De Simone

 

 

Quando nella musica leggera si grida al plagio bisognerebbe guardare alla storia della musica classica, dove gli esempi di compositori che hanno utilizzato temi, frammenti, impasti sonori inventati da altri si sprecano. La possibilità di ‘trasferire’ una idea musicale altrui in un proprio brano trova forse origine nell’espediente della ‘variazione’: un tema interessante poteva essere ripreso da esecutori occasionali, elaborato, abbellito, infiorettato, adattato infine alle possibilità offerte da strumenti diversi. Si comprende, dunque, come già una semplice ‘trascrizione’ fosse una rudimentale forma di contaminazione tra l’originale d’autore e la sua rielaborazione più o meno variata compiuta da un altro musicista. Si può ipotizzare che queste ‘rielaborazioni’ diventassero ‘trascrizioni’, poi vere e proprie ‘reinvenzioni’ nella misura in cui maggiormente si allontanavano dall’originale, ed infine plagi quando il nome del primo autore scompariva del tutto.

 

Fin dal Medioevo, prima di Gregorio Magno, i canti liturgici erano contaminati da suadenti effusività orientali; nel Rinascimento, in Spagna, avveniva la fusione tra elementi dalla più varia provenienza geografica: spunti franco-fiamminghi, italiani e sonorità arabe, berbere, con stilemi gotici, celtici, baschi. Nel Settecento  Johann Sebastian Bach, che oggi è riconosciuto come il fondatore della tradizione colta occidentale, fu anche uno dei più importanti riutilizzatori di temi e stilemi altrui. Attraverso le trascrizione da Vivaldi, Marcello e molti altri compositori barocchi, acquisì duttilità e morbidezza nel trattamento delle melodie. In alcune trascrizioni, i nomi degli autori originali scompaiono, come ad esempio nel bellissimo Concerto in si minore BWV 979, o come in alcune pagine del Clavier-Büchlein. L’organista e musicologo Albert Schweitzer, in una biografia, rileva la presenza e l’importanza delle melodie luterane in tutta la produzione corale ed organistica bachiana (molte melodie usate da Lutero e Johann Walther erano poi a loro volta di origini medioevali). Evidentemente, non si trovava scandaloso servirsi di temi celebri, come se si trattasse di ‘citazioni’ implicite, di materiali sonori già assimilati, da riutilizzare proprio come fa l’artigiano quando assembla strutture eterogenee. Nell’Ottocento, con l’imperversare di trascrizioni, parafrasi, adattamenti e facilitazioni per fanciulle, la pratica della citazione dilaga e si esplicita. Nasce contestualmente l’idea di ‘repertorio’ e si consolida quella di ‘autore’. Così, Wagner si sente in dovere di avvertire Liszt di aver ‘preso in prestito’ un tema che compare nella Walkiria, riconoscendo all’altro un diritto di proprietà su qualcosa di immateriale. Questo momento, benché fosse stato anticipato dalla denuncia di Clementi del plagio subito da Mozart, è di fondamentale importanza: il pregiudizio d’autore era ormai assimilato, e sarebbe stato rimesso in discussione nel Novecento, da Igor Strawinsky.

 

Un lasciapassare al plagio è sempre stato costituito dalla musica popolare. Molti compositori si sono rivolti ai repertori tradizionali, considerati di pubblico dominio, per trattarli liberamente. Da Liszt e Brahms fino alle scuole popolari, con in cima Béla Bartòk e Zoltan Kodàly, a volte con intenti perfino filologici, i musicisti classici permutano modi e temi folclorici o noti trasferendoli in forme colte. Mahler riprende Fra’ Martino, la trasporta, la trasforma in re minore e la inserisce nel terzo movimento della sua Prima Sinfonia.

Un altro lasciapassare viene concesso alle formule ritmiche, benché studi attuali abbiano dimostrato che il ritmo sia l’elemento più importante per riconoscere e discriminare forme musicali. Gli studi etnomusicologici sulle polimetrie polinesiane o genericamente ‘primitive’ sono stati saccheggiati dai compositori che ne hanno tratto cellule da impiegare con procedimenti di inversione, retrogradazione, aggravamento, etc. In linea di principio non si comprende per quale ragione il plagio di un ritmo debba essere consentito e quello di un tema o di una successione armonica sia invece considerato riprovevole.

 

La diffusione di trattati di orchestrazione e analisi consentono anche agli studenti dei corsi di composizione di poter scrivere à la manière de..., formula usata per consentire ad un autore il rifacimento dello stile di un altro. Molti sono gli esempi di plagio di stile, esplicito o implicito, da Ravel che si rivolge a Couperin, a Debussy che ne La Cathédrale engloutie si appropria della tecnica della sospensione accordale usata quattro anni prima da Satie in un Corale, fino a Rossini che nel Petite Caprice per pianoforte fa il verso ad Offenbach, con uno sberleffo aggiuntivo: usa solo indice e mignolo della mano destra, nel gesto dello scongiuro, perché pare che Offenbach portasse male...

 

Oggi nella musica da film pare naturale utilizzare alcuni ‘luoghi comuni’ per suscitare reazioni convenzionali nel pubblico, una specie di codice inconscio: un collage di queste tipologie è raccolto in un celebre prontuario, l’ Allgemeines Handbuch der Filmmusik di Becce-Erdmann-Brav, pubblicato a Berlino nel 1927. Basta comunque ascoltare la musica per film di un compositore come Sakamoto per rintracciare decine di citazioni stilistiche o tematiche. In Little Buddha un tema simile a quello del Dies irae viene orchestrato alla maniera della Pavane pour une enfante défunte di Ravel. Molti ritmi di El mar Mediterrani riportano al Sacre di Strawinsky o ad opere di Bartòk, e via di seguito...

 

L’evoluzione dello stile, delle forme e dei generi musicali, se guardata al microscopio con gli strumenti dell’analisi, rivela una infinità di concordanze sospette, tanto da farci pensare che sia possibile individuare alcuni tratti e procedimenti comuni nell’uso delle melodie e delle armonie. Alcune formule vengono sentite come un essere-in-comune, alle quali si può accedere liberamente. Questo, almeno, dal punto di vista estetico.  Il problema giuridico potrebbe invece essere risolto catalogando le ‘figure musicali ripetute’ che appartengono a tutti. L’elenco andrebbe a costituirsi come termine di comparazione oggettiva.

 

 

Tecniche del plagio

 

Primo esempio: uso di frammenti tratti da opere altrui.

Si tratta di un’evoluzione della prassi della ‘citazione’. Igor Strawinsky è il compositore che, benché attaccato  ferocemente, l’ha percorsa con maggior convinzione. Era grado di sorprendere sistematicamente pubblico e critica con inaspettate accensioni camaleontiche verso stili differenti, rivolte tanto ai suoi contemporanei che al periodo classico o al Settecento. In Pulcinella , ad esempio, rifà musiche di Pergolesi. Lo dichiara, ma contestualmente afferma il principio della legittimità di trasformare questi brani a suo piacimento, molto più di quanto non avvenga nelle semplici trascrizioni. In Colloqui con S. confessa: «Pulcinella fu la mia scoperta del passato, l’epifania attraverso la quale tutto il mio lavoro ulteriore divenne possibile. Fu uno sguardo all’indietro naturalmente, - la prima di molte avventure amorose in quella direzione- ma fu anche uno sguardo allo specchio. A quell’epoca nessun critico lo capì, e io fui attaccato di conseguenza per essere un pasticheur (...). Per tutta quella gente la mia risposta fu ed è ancora la stessa: Voi ‘rispettate’, io amo».

Anche Massimo Mila riferisce di questa caratteristica.  Tanto che chiude il suo Compagno Strawinsky con la seguente riflessione: «anche la sorprendente piroetta finale, con la graduale conversione o piuttosto convergenza di S. verso il metodo di composizione dodecafonica, non è il recupero d’un contatto smarrito con l’avanguardia ma si inscrive sotto lo stesso segno di parodia creatrice che è il contrassegno del costume contemporaneo».  Mila attribuisce a S. una vera e propria «tecnica dell’appropriazione» verso «ogni fenomeno di natura musicale».  

Ciò accade, ripeto, nella scia della pratica della citazione, strumento usato anche dai grandi compositori del passato.

 

Avvicinandoci ad oggi, i frammenti espunti da opere altrui sono diventati man mano più brevi, e ‘tagliati’ al computer in modo da trasformarli sempre più in veri e propri materiali oggettivi. Un antesignano di questa tecnica fu l’italiano Pietro Grossi, che compose alcuni brani utilizzando frammenti di speaker radiofonici o tratti da spot pubblicitari, ed altri musicisti elettronici: Varèse, Gerhard, Davies, e numerosi autori di musica concreta.

 

Ma la vera svolta c’è con John Zorn. Egli scrive colonne sonore per cartoni animati (repentini cambiamenti tra rumori e musichette pensate ad hoc), ad esempio con Roadrunner, e lavora con il Dj Christian Marclay, il quale utilizza il missaggio tra brani differenti in modo libero, contaminandolo con suoni e rumori estranei. Le due cose fanno nascere in Zorn l’idea di inanellare citazioni velocissime (Zorn li chiama “sketch”), in cui i frammenti originari sono quasi irriconoscibili, e dei quali non viene più dichiarata la paternità originaria. Tra un pattern e l’altro, il sassofonista propone ‘insert’ strumentali tecnicamente all’avanguardia. Il risultato è un universo polimorfo, una evoluzione delle intuizioni di John Cage nei brani per radio e performer.

Quella di Zorn è l’estetica del collage. In un suo articolo sul cinema illustra la tecnica del montaggio, che è la stessa usata per costruire i suoi pezzi (tra gli esempi compaiono gli stessi rettangolini presenti nelle sue partiture). Ecco cosa scrive: «il montaggio crea una serie di problemi (...) dove la materia dell’esperimento è costituita dal tempo. Spesso il montatore non ha materiale sufficiente per creare un flusso continuo ed è costretto a scegliere altrove immagini per conservare l’illusione del tempo che passa a un ritmo regolare». E ancora: «all’aumento di velocità segue la riduzione della capacità di attenzione. Se in precedenza sembravano indispensabili blocchi di informazione di un minuto, ora bastano dieci secondi». Come si vede, la velocità ed il flusso delle informazioni tra continuo e discontinuo hanno un ruolo centrale nell’assemblaggio di un brano.

 

Tecniche simili di scrittura vengono utilizzate anche da gruppi come i Naked City, e da altri musicisti meno noti.

In Italia, con complesse motivazioni estetiche ed uno studio dei flussi sonori tra discreto e continuo, il gruppo Timet ed il suo leader Lorenzo Brusci trasformano l’operazione ‘jazz’ di Zorn in sofisticata elaborazione colta (ma queste differenze tra generi sono solo indicative). Timet pubblica diversi dischi (Restituzioni, La via negativa, Shadows...), su ognuno dei quali è posta la scritta «Chiunque è libero di manipolare questo disco. Se potete ammettetelo». La tecnica usata è quella di considerare blocchi di suono come materiali oggettivi da giustapporre a piacimento. In alcuni lavori c’è l’elenco dei nomi dei compositori ‘sorgente’, senza però precisare il titolo del brano dal quale è stato tratto il tassello inserito nella metacomposizione.

 

Secondo esempio: uso di ‘sonorità’ campionate  tratte da dischi già esistenti.

In teoria si può ‘campionare’ qualsiasi suono: si tratta di ‘catturarlo’ e di trasformarlo in un dato, un numero, un evento digitale che può poi essere cambiato a piacimento. E’ una tecnica che si è imposta in ambito hip hop, si è diffusa ampiamente negli anni Ottanta grazie alla proliferazione di campionatori estremamente economici. C’è stata poi la break music (dove per ‘break’ si intende ‘blocco ritmico’), ed il funk. Tra jazz e funk si è mosso il pianista Wayne Horvitz, che ha lavorato sia con Zorn che con Marclay. Per Horvitz si parla più che di una ‘scomposizione’ di brani, di ‘ricomposizione’ di suoni eterogenei. Ha fondato il gruppo dei President. Ricadute della tecnica del campionamento avvengono oggi in molteplici generi, fino alla jungle.

Anche per i campionamenti si pone il problema del plagio (celebre la causa a Biz Markie): quando i suoni o i break ritmici restano riconoscibili essi necessiterebbero di una liberatoria dell’autore. Per questo si è pensato di commissionare sound-pool liberi da copyright, royalty-free. Così, oggi in qualsiasi messaggeria attrezzata si trovano cd-rom con campioni già pronti, intere librerie di suoni o di groove di batteria pronti ad essere messi in circolo (o loop, altra tecnica fondamentale della musica ‘commerciale’ o Gebrauchsmusik) per essere utilizzati in molteplici applicazioni domestiche.

Esistono programmi in grado di rilevare casualmente la musica presente in rete consentendo collage sonori. Si va dall’evento live trasmesso via internet, alle musichette midi, o alle siglette dei telefonini, tutte trattate come veri e propri ‘oggetti sonori’, senza ricondurle agli autori.

Per finire, un esempio della pervasività di queste tecniche nelle musiche di consumo di oggi, viene fornito dai nomi di musicisti ‘campionatori’: Tom Jenkinson (drill'n'bass), Nigel Casey (house), Michael Reinboth (jazz), Marco Passarani (tecno), Johnny Halk (braindance), e, tra gli altri, gli ormai celebri Moby (di provenienza tecno, usa però stilemi blues, ambient, un vero melting pot) e Ludovic Navarre - St. Germain (lounge jazz, sorta di jazz da camera).