L’Azione Il resto della Memoria, per pianoforte e voce recitante, è stata rappresentata la mattina del 30 Maggio 1999, a Napoli, nel Salone delle Feste dello storico Palazzo Marigliano, sede della Sovrintendenza archivistica della Campania, a cura dell’ “Associazione musicisti Manuel De Falla” e dell’Istituto Studi Filosofici di Napoli. Piace ricordare qui, con Ramondino, che «A Palazzo Marigliano visse e operò anche Antonio Neiwiller, diretto con la sua barchetta, dal nome “Teatro dei Mutamenti”, verso la parte dell’isola che aveva intravisto. Ché quest’isola compare e scompare continuamente alla vista e sempre diverso è il profilo che ciascuno ne coglie. In questo mondo troppo conosciuto è l’unico luogo ancora vergine che ci attende sempre, ma solo per sfuggirci di nuovo» (Fabrizia Ramondino, Promenade napoletana). Il testo che segue è una selezione tratta dal libretto di sala che ha accompagnato l’evento.

 

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IL RESTO DELLA MEMORIA*

 

Ingresso del pianista; in piedi affianco al pianoforte produce un cluster di corde. La voce recitante parla fuori campo, sul riverbero del cluster.

 

«L’àsteco chiove, la casa scorre. Tu che ‘nce puo’ fa’?» credé d’udire, nel frastuono che straripava anche lì. Fece una riverenza, un sorriso stremato. “Io che n’ce posso fa’ ” pensò, in napoletano lei pure. Come dicevano i Napoletani per significare “nulla, proprio nulla, nada de nada”? «Ah sì. Il resto di niente». [E. Striano]

 

Parte un primo nastro sul quale si inserisce il pianoforte. La voce recitante fa il suo ingresso in scena.

 

«Questo è ‘no paese de merda» rispose Paisiello, strascicando le vocali nell’accento pugliese. «Questa che dici tu non è musica. A Pietroburgo. Là, forse, si potrà fare veramente musica» (...). Arrivò un suo amico giovanissimo, uno studente del conservatorio che si chiamava Cimarosa. «Pure tu si’ venuto», osservò, scontento, Cimarosa si strinse nelle spalle. Era grassoccio, dall’aria paesana, un poco addormentata. Qualcuno cavò argomenti musicali, nonostante Paisiello apparisse infastidito. Giunsero le dame. «Mo’ speriamo che a nisciuna le viene dint’a la capa de canta’» mormorò Paisiello (...). [E. Striano]

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[E così], furono un torrente i «talenti» che se ne andarono. Resta un mistero il contributo pagato da Napoli allo sviluppo di Milano e del resto d’Italia in termini di intelligenze esportate. «Se fosse possibile un calcolo economico di questo genere potremmo chiedere una serie di (...) [cospicui] risarcimenti», ha ironizzato Luigi Compagnone (...). [E. Rea]

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Ma non è facile liberarsi del richiamo di una città quando ad essa ci si sente legati da vincoli così intensi da apparire indecifrabili. Apparentemente Napoli e Caccioppoli si [amarono] perché non si [rassomigliavano] quasi in niente, [attraendosi] per forza di contrasto.

(...) Il ‘matematico matto’ non si muoverà più da Napoli; finirà per far parte del suo paesaggio sommerso, per diventare parte integrante delle sue pietre e dei suoi intonaci, delle sue sere sciroccose e torbide, della sua disperazione romantica: sarà «l’altra Napoli», rispetto a quella rappresentata dall’intramontabile cartolina spaghetti, buonumore e furfanteria. [E. Rea]

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Il napoletano non è poi un personaggio così ‘ricco’, (...) nel senso di quella acquisizione filosofica, irrealizzata, che, per drammatici fraintesi, lo vuole solare e creativo. Sicuramente pertanto i momenti migliori di questa città, forse proprio secondo la più bisunta oleografia, ritornano quelli di sempre: la sua posizione naturale, alcune zone isolate vicino al mare, che isolate sembrano addirittura dal mondo, pervase da una segreta, ineguagliabile dolcezza che sarei tentato di designare con un vocabolo tedesco intraducibile, tipicapente schubertiano: ‘Heimlichkeit’, dov’è la radice di parole come segretezza, mistero, tranquillità, quiete; motivi di ‘straniamento’ ma purtroppo anche (...) di continuo rimpianto, per una condizione [che ci viene negata]. [L. Cilio

 

Alla frase di Cilio segue uno dei brani tratti dal suo disco “Dialoghi del presente”: Frammento dal “Primo quadro, della conoscenza”. Alla fine del brano riprende la voce recitante.

 

E poi invece, dopo, tu hai continuato a suonare. Andava bene, però bisognerebbe fare in modo che questa musica passasse per delle zone di silenzio; cioè, ogni tanto come se prendesse corpo.  [A. Neiwiller]

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Di quella serata Renzo non ricorderà altro. Salvo che a un certo punto Renato Caccioppoli [avvicinatosi al pianoforte, ne alzò in maniera imprevista il coperchio] e, in piedi, con la sola mano destra, [cominciò a suonare]: pochissime note soltanto, ma senza ritmo, sfibrate, simili a un flebile sospiro. [E. Rea]

 

In sottofondo il pianoforte suona silenziosamente alcuni frammenti di un brano di Giuseppe Chiari, “Intervalli numero dieci”.

 

«Poi mi chiese con un sorriso: ti dispiace se suono un piccolo pezzo, una cosa breve? Fu in quel momento che mi accorsi che sulla parete che sovrastava il pianoforte era appeso un ritratto a olio di Renato Caccioppoli, una tela di discrete dimensioni incassata in una cornice non priva di pretese. Si mise a suonare, non ricordo che cosa, senza smettere di parlare. Ma parlava veramente con me, soltanto con me? Ebbi la netta sensazione che intendesse comunicarmi qualcosa, (...) qualcosa che coinvolgeva Renato: insomma come se lei continuasse a tessere un suo ragionamento con lui, un discorso che riguardava le radici stesse del vivere... Guardava spesso il ritratto; anzi a un certo momento mi chiese: hai visto come è somigliante? Lo stesso impercettibile sorriso ironico, lo stesso sguardo insieme appassionato e deluso. Deluso di tutto...». [D. Greco, citato da E. Rea]

 

Il pianista esegue due brani evocativi di Arvo Part e Zbigniew Preisner. Subito riattacca la voce recitante.


«Chiacchiere prive di costrutto, Napoli continua a non servire a nulla. In fondo nessuno sa a cosa debba servire. Forse solo ai ricchi per farci spese, ai nobili per scialacquarvi le rendite, correndo dietro alle ballerine del San Carlo. Nonostante tutto, non so perché, resta meravigliosa: affascinante, allegra».

«Sì» disse lei, con sincero trasporto. «E voi dovreste aiutarmi, Vincenzo. Perché io la debbo capire. La voglio conoscere bene. Presto. Non mi muoverò più di qui, lo sento: in questa città mi toccherà vivere, forse vi vedrò nascere i miei figli. Ci morirò, infine, e vi verrò sepolta» aggiunse, con leggera civetteria di tenerezza.

«Amen» concluse lui, in tono sacerdotale. [E. Striano]

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«(...) Ma a Voi piace questa città sporca, ignorante? Non ne avete schifo e vergogna? Quanto tempo ci vorrà per cambiarla?»

«(...) [Certo] che non mi piace» replica Sanges, serio. «Ma non voglio prenderla in giro. Né sedurla con promesse impossibili. Voglio aiutarla a liberarsi da sola. Smettiamola d’aspettare che lo faccia gente forestiera!». [E. Striano]

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«(...) Odio Napoli, è chiaro? (...) Parlo d’odio perché vedo Napoli come una tragedia senza sbocchi, senza speranza. L’odio è indotto esattamente da questa assenza di speranza, di catarsi possibile. Del resto, perché credi che [Francesca si sia uccisa]? Era una donna trascinante. Ricordo con precisione questa sua forza di trascinamento, questa sua tensione interna, questo (...) fuoco, questo suo continuo cercare. Fu uccisa dalla solitudine. Napoli è una città dove la solitudine ha qualcosa di corposo, di solido, di materiale. E’ una solitudine pesante, non lieve ma greve, non trasparente ma opaca, non silente ma rumorosa. E’ una solitudine nella ressa, nel rumore, nel disordine. E’ una solitudine senza poesia, senza nulla di allusivo, di pacato, di raccolto» [L. Compagnone citato da E. Rea].

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Napoli ha l’amabile leggerezza di un paese senza invidia. Eppure è carica di malocchio. [A. Gatto]

 

Parte il secondo nastro, con “Dissolvenze” di Gabriele Montagano. Sul brano il pianista esegue “Su Dissolvenze” di G.D.S.

 

La città è il labirinto: (...) i percorsi metropolitani sono specchi d’acciaio. [Valeria Saporito]

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Da Napoli non si sarebbe più mossa. Vi alitavano savia comprensione, indifferenza gentile, meglio ancora supremo senso della vita, in equilibrio fra pietà e disincanto.

Tutto acquistava preziosità inestimabile ma, al tempo stesso, non valeva nulla. [E. Striano]

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Gli uomini del sottosuolo / Notturno / luce negli occhi (...) / solo gli occhi nella scena  / gli uomini disgelati / gli uomini del futuro anche / occhi illuminati.

Questa scena ha più sensi / dal sotterraneo al mistero alla rivoluzione (...). [A. Neiwiller]

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Ne parlò con Vincenzo, il quale scuoteva il capo. Alla fine osservò: «Lenòr, io non voglio influenzarti, per carità. Ti dirò la mia opinione: questa società dei liberi muratori è una strana cricca che cresce dappertutto. Non so bene donde sia venuta, né cosa voglia. Sì parlano di libertà, eguaglianza, morte ai tiranni, però si contraddicono. Fra loro ci sono i re: Maria Carolina, la sorella Maria Antonietta, il principe Giuseppe. Odiano i preti, ma accettano padre Caracciolo. Detestano i Gesuiti e ne son pieni. (...). La Massoneria potrebbe aiutarti ad avere successo (...), ma c’è troppa gente che non mi piace. [E. Striano]

 

Alla voce recitante si contrappuntano i brani di Girolamo De Simone “Bidly”, “Gi-Random”, “Fil”.

 

Napoli è una città d’azzurro, una città fredda. I suo pallidi abitanti che vivono di grazia e di ragione sanno che essa è un ricordo e mostrano di crederci, trovandola persino vera qualche volta, vera, cioè rispondente all’immagine che se ne erano fatta. (...) Nevica sul nostro paese che tutti abbiamo creduto di vedere. E sempre, col cielo addosso, cerchiamo l’orizzonte. [A. Gatto]

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Resta l’utopia, la speranza che [questo] orizzonte esista, anche se lontano. Anche se poi quella speranza è subito nuovamente travolta. [A. Neiwiller]

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Atlantide viene a galla e appare in tutto il suo fascino di rotaie luccicanti e neon fosforescenti. I rottami e i rifiuti splendono ora della loro azzurra luce artificiale. [Valeria Saporito]

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Così (...) che rimane? Niente. Il resto di niente. Vacilla. Mastro Donato il boia la sorregge, poi la spinge, con delicatezza. Le tiene una mano per farla salire sopra lo scaletto. Prima di dare il calcio la guarda, con occhio serio, un po’ aggrondato. [E. Striano]

 

Attacca subito il pianoforte con la Suites di Alberto Savinio “Les chants de la mi-mort”. La voce recitante esce di scena. Alla fine dell’esecuzione, anche il pianista chiude il coperchio del pianoforte ed esce di scena.

 

 

*Questo lavoro, sul tema delle memorie inconciliate, è liberamente ispirato agli scritti e alle parole di Enzo Striano, Luciano Cilio, Antonio Neiwiller, Alfonso Gatto, Valeria Saporito, Ermanno Rea. Da quest’ultimo autore sono tratti i riferimenti a Francesca Spada, Renato Caccioppoli, Luigi Compagnone, Dino Greco. Ringrazio Giulio De Martino per avermi fatto conoscere la vicenda e gli scritti di Valeria Saporito.

Alcuni testi di riferimento:

LUCIANO CILIO, Catalogo/programma di “Avanguardia e ricerca musicale a Napoli negi anni ‘70”, Napoli 1981, Comune di Napoli / Estate  a Napoli.

ALFONSO GATTO, Napoli N.N., Salerno 1993, Edizioni Ripostes (a cura di F. D’Episcopo).

GIROLAMO DE SIMONE, “Le memorie inconciliate, i destini incompiuti di Cilio, Neiwiller, Ruccello”, apparso sul quotidiano partenopeo “La Città” del 12-5-1996.

GIULIO DE MARTINO, “Sopra la città ci sono alcuni uccelli. Valeria Saporito: note, visioni, interpretazioni (1976-1980)”, su “Crocevia” n. 2 Aprile-Giugno 1997, Napoli 1997, ESI.

ANTONIO NEIWILLER, La resistenza silenziosa degli uomini necessari, Napoli 1996, Istituto S. Orsola Benincasa (edizione fuori commercio pubblicata per accompagnare la mostra-evento tenuta presso l’Istituto Suor Orsola Benincasa).

ERMANNO REA, Mistero napoletano, Torino 1995, Einaudi.

VALERIA SAPORITO, note di sala ciclostilate per le Mostre del 1985-86 presso Spazio Libero e Sala Gemito.

ENZO STRIANO, Il resto di niente, Milano 1998, Loffredo - Rizzoli.